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Paparazzo condannato per stalking:

La sua attività lavorativa non giustifica la persecuzione.

21.11.2022














La Corte di Cassazione, Sez. V, in data 10.11.2022 con Sentenza n. 42856 si è espressa in materia di atti persecutori/stalking. ex art. 612 bis c.p..

Ad essere protagonista della vicenda, in qualità d’imputato, è un paparazzo il quale, al fine di ottenere servizi fotografici con alcuni calciatori, era solito attuare appostamenti al di fuori dell'ufficio di un’agente degli stessi ed anche in altri luoghi frequentati da lei per ragioni di lavoro; tempestandola di telefonate, fino ad arrivare ad inseguimenti in auto e insulti rivolti pubblicamente.

Il suddetto paparazzo veniva pertanto condannato, con sentenza confermata anche in appello per il reato di atti persecutori.

Avverso tale sentenza il condannato ricorreva in Cassazione denunciando l'insussistenza dell’alterazione delle abitudini di vita della P.O. ed offrendo una rilettura dei fatti volta a ottenere una riqualificazione degli stessi per farli rientrare nell'alveo del reato contravvenzionale di molestia o disturbo alle persone; ex art. 660 c.p..

Secondo gli Ermellini però tale impostazione risulta inammissibile in quanto la sua condotta risulta meramente reiterativa di quella già accertata in appello; essendosi provato l'impatto che la condotta ha prodotto sulla vita lavorativa della vittima.

La Parte offesa, infatti, fu costretta a ricevere i propri clienti in luoghi diversi dal proprio ufficio, a non utilizzare la propria vettura, a bloccare le telefonate del paparazzo a causa del continuo grave incessante stato d'ansia e di paura insorto in lei.

La Suprema Corte aggiunge altresi che, l'attività del paparazzo svolta dall'imputato, non giustifica tali comportamenti neppure alla luce di un’eventuali riqualificazione dei fatti.

Per questi motivi la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

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